Per gli appassionati segue qui sotto la Prefazione del libro redatta dal "Generale Ispettore del Genio Aeronautico Basilio Di Martino".
La Storia, quella con la S maiuscola, ama dare appuntamento negli stessi luoghi, forse perché le sue vicende sono molto dipendenti da quella di un’altra scienza di cui troppo spesso si dimentica l’importanza, la Geografia. L’azione combinata di queste due forze si manifesta nelle forme più impensate a distanza di decenni, e solitamente sempre in relazione a quelle situazioni di conflitto che rappresentano le pietre miliari del lento divenire del genere umano. Uno di questi luoghi segnati dalla Storia è la magnifica conca alpestre posta al limitare tra Veneto e Trentino, compresa tra la dorsale di Monte Maggio, che la divide dal profondo solco della Val Terragnolo, e la successione di dossi prativi che da Cima Valbona degrada verso il Sommo Alto separandola dalla Val d’Astico.
In questo scenario di boschi di conifere e pascoli d’alta quota, a cavallo di un’antichissima via di comunicazione tra gli altipiani e la pianura, correva infatti nel maggio del 1916 il tratto di fronte su cui si abbatté l’urto iniziale dell’offensiva austro-ungarica di primavera, si è sviluppata tra il 1944 ed il 1945 l’attività di alcune formazioni partigiane, con il tragico episodio di Malga Zonta, e tra il 1966 ed il 1977 è stata attiva l’area di lancio del 66° Gruppo Intercettori Teleguidati dell’Aeronautica Militare, le cui vicende costituiscono l’elemento centrale di questo volume.
Sarebbe però riduttivo considerare “Cieli Fiammeggianti” soltanto una storia di reparto, destinata a chi di quelle vicende è stato in qualche misura protagonista ed ai cultori di storia aeronautica e locale. Gli autori, sulla base di un lavoro di ricerca tanto vasto quanto accurato, e di una conoscenza diretta dei luoghi, nonché dei mezzi tecnici, dell’organizzazione e della vita quotidiana di quella base missilistica d’alta quota, inseriscono la breve storia di “Base Tuono” nel più ampio quadro di quella particolare stagione della storia che va sotto il nome di Guerra Fredda e dell’evoluzione tecnologica che portò allo sviluppo del sistema d’arma Nike Hercules.
Concepito sul finire del secondo conflitto mondiale, il programma Nike, che prevedeva la realizzazione per conto dell’esercito statunitense di un missile contraereo guidato via radio, era stato accantonato nel clima di generale smobilitazione seguito alla resa del Giappone solo per essere riattivato nel 1948, quando il blocco di Berlino ed i concomitanti avvenimenti in Europa Centrale avevano reso evidente la sempre più forte contrapposizione tra il blocco sovietico ed il blocco occidentale. La costituzione della U.S. Air Force come forza armata indipendente, avvenuta l’anno precedente, aveva avuto come immediata conseguenza l’instaurarsi di una forte competizione con l’esercito per la gestione dei programmi missilistici, competizione che si sarebbe sviluppata per oltre un decennio e che, per quanto riguarda i sistemi di difesa aerea, sarebbe stata risolta affidando all’aeronautica la difesa in profondità, con una capacità d’intervento proiettata oltre i confini statunitensi, e più in generale oltre le coste del continente nordamericano, utilizzando gli intercettori pilotati ed il missile Bomarc, ed all’esercito la difesa del territorio stesso degli Stati Uniti, con la copertura dei principali centri industriali e demografici assicurata da batterie di missili Nike.
Nel 1958 questo piano si era concretizzato con l’approntamento di oltre 200 batterie equipaggiate con la versione Ajax del missile, che utilizzava un “booster” a propellente solido ed un motore di crociera a propellente liquido. Mentre questo avveniva l’Ajax era però già in via di sostituzione con la versione Hercules, che oltre ad avere prestazioni superiori utilizzava esclusivamente motori a propellente solido con i conseguenti vantaggi di natura operativa e logistica.
E’ in un tale contesto che maturò l’idea di estendere questa capacità difensiva ai partner dell’Alleanza Atlantica, creando sul territorio europeo delle “cinture” missilistiche a protezione delle aree più sensibili ed a sbarramento delle più probabili vie di penetrazione dei velivoli d’attacco del Patto di Varsavia. Questo progetto si concretizzò in un massiccio sforzo che vide nell’arco di una decina d’anni l’approntamento di una serie di basi missilistiche, concentrate nel caso dell’Italia nei territori del Nord-Est, e la concomitante affermazione di una nuova dimensione del potere aereo, quella del missile, con ciò che ne consegue in termini di tecnologia e cultura organizzativa. L’Aeronautica Militare ebbe modo durante la breve stagione della 36a Aerobrigata da Interdizione Strategica di venire a contatto anche con la capacità offensiva assicurata dalle nuove tecnologie, grazie all’abbinamento tra il vettore missilistico e l’arma nucleare, ma la cancellazione del programma Jupiter nel 1963, nell’ambito degli accordi che portarono a soluzione la crisi di Cuba dell’ottobre dell’anno precedente, lasciò al centro della scena il Nike Hercules, giustamente classificato come intercettore teleguidato nonostante una capacità secondaria superficie-superficie.
Svanita con il Jupiter qualunque prospettiva di stampo “douhettiano”, rimaneva la realtà di un sistema d’arma che per i suoi contenuti tecnologici contribuì a far fare all’Aeronautica Militare un deciso salto di qualità, assecondando la spinta data dall’introduzione in linea del velivolo F-104. Insieme allo Starfighter il Nike Hercules era infatti destinato a proiettare la Forza Armata nel mondo dell’elettronica applicata ed a creare le premesse per l’ulteriore evoluzione che si sarebbe concretizzata negli anni ’80 con l’entrata in linea del Tornado. Di questi sviluppi non sarebbe però stata parte integrante la componente missilistica dal momento che, per un complesso di ragioni legate alla carenza di risorse finanziarie ed alle incertezze che hanno fino ad oggi ostacolato la finalizzazione di un programma multinazionale, il Nike Hercules non ha ancora avuto un successore, e tanto meno un successore in grado di coniugare la difesa aerea in termini di contrasto ai missili balistici.
Questa è però una vicenda ancora in divenire che va oltre gli intenti e l’orizzonte temporale di un bel volume che, nel rievocare un capitolo non secondario della storia dell’Aeronautica Militare, sottolinea la validità della cooperazione a livello istituzionale, tra Forza Armata e amministrazione locale, per la valorizzazione di un patrimonio storico che altrimenti sarebbe andato disperso, cooperazione che, condotta in modo intelligente e razionale, ha portato alla realizzazione di una realtà museale tanto unica quanto dinamica quale “Base Tuono”.
Basilio Di Martino
Generale Ispettore del Genio Aeronautico